Nella vita dei partiti d’avanguardia esce sempre il giorno del perdono; che è la Pasqua in cui l’ulivo viene agitato sulla tomba delle lotte passate, ad augurio di feconde unioni future. Gli abbracciamenti e le conclusioni di quell’ora, quel ritrovarsi dopo scissioni e separazioni, non elimina la necessità che certe posizioni personali siano liquidate, che certi problemi unionistici siano risolti, e il campo dell’azione comune sia spianato ed i suoi limiti tracciati.
Purtroppo l’unione è stretta senza accordi definitivi e senza riserve doverose, sì che mentre essa potrebbe essere eminentemente feconda finisce sempre per diventare desolatamente sterile. Possiamo noi ed i socialisti, limitarci ad una unione che ci faccia trovare i vicini nei comizi e non ne l’ora della lotta per le strade? Possiamo limitarci a mescolare i nostri entusiasmi negli effimeri ardori della vita comiziesca? Noi veniamo da scuole diverse e siamo di temperamento diverso: divisi, forse, più profondamente dal temperamento che dalle idee, e se ci siamo trovati più volte uniti ai socialisti, siamo sempre stati legati ed accomunati più dalle contingenze attuali che dall’azione futura; l’unione nostra non è mai stata un’unione solida e duratura.
L’ora odierna è ardua e faticosa. Per vincere le aspre difficoltà che essa ci presenta, occorrerebbe avere una forza saldamente unita, costituita da consensi capaci di affrontare il collaudo dell’azione. L’unione, spero, diverrà sempre più intima poiché le forze confederate con vero amore e con tenacia non possono che nascere dalla lotta e temprarsi sempre più negli alterni perigli e nelle angosce di una lotta comune.
Se la massa socialista fosse un blocco rovente di entusiasmo e di coraggio fattivo, l’unione sarebbe possibile fin d’ora, al di fuori e al di sopra del pensiero e della volontà dei suoi dirigenti.
Questo non è, e si impone la necessità di chiarire la posizione dei capi socialisti di fronte alle masse socialiste, di fronte a noi, di fronte alla Rivoluzione. Al di sopra dei dissensi teorici,, dei diversi punti di vista, delle differenze di temperamento vi é necessità dell’Unità rivoluzionaria d’oggi e per l’azione fattiva di domani. Il massimalismo elettorale, il bolscevismo parlamentarista, é, anche agli occhi dei socialisti stessi, un bluff, una speculazione, una commedia. Fra la violenza verbale, l’estremismo oratorio, dei comizi elettorali dei candidati socialisti e l’azione parlamentare degli onorevoli rivoluzionari a base di interrogazioni collaborazionistiche, vi è una differenza che è manifesta.
I massimalisti che parlavano di rivoluzione vicina, di fallimento imminente della borghesia capitalista, di crollo di uomini e di istituzioni, oggi tacciono, nei collegi, e se parlano annacquano il loro vino bolscevico con l’acqua dei nuovi punti di vista, attraverso i quali vedono la politica dall’osservatorio di Montecitorio. Il Parlamento non è una tribuna rivoluzionaria da cui parlare al paese, deputati socialisti che hanno il monopolio dell’eloquenza parlamentare da Turati a Graziadei, sono vecchi elementi, gli altri, da Bombacci a Barberis, non fanno altro che fare la claque, o l’ostruzionismo, perdendo tempo ed energia in sterili schermaglie personali o in incidenti tipo ex Camera Ungherese. Così va avanti; mentre scoppiano tumulti sporadici, mentre si crea una situazione economicamente rivoluzionaria, con l’acuirsi delle crisi del lavoro e della produzione.
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Due sono le posizioni che ai deputati massimalisti possono assumere di fronte al precipitare degli avvenimenti: o pensano impossibile la rivoluzione per difficoltà insolubili, qual è quella, secondo Turati e C., dell’importazione delle materie prime e dei generi alimentari, ed allora sono in dovere di arrestare la massa proletaria lungo la marcia verso quello che secondo loro, sarebbe un disastro; o pensano la rivoluzione necessaria è possibile ed allora il loro dovere, visto che il Parlamento non è organo di conquista rivoluzionaria, di abbandonarlo e svolgere una attiva e seria opera di propaganda e di organizzazione rivoluzionaria in seno alle masse.
Nel primo caso essi debbono malgrado tutti e malgrado tutto, fare un’aperta opera di collaborazione col programma di produzione intensificata, di tregua dei partiti di S.E. Nitti. Le masse non devono essere incluse in periodo elettorale e non devono essere ingannate per tutta la durata di una legislatura! Le masse devono sapere la verità, tutta la verità, debbono conoscere le difficoltà del momento e quelle future sicché quando scenderanno in piazza saranno all’altezza delle prove morali che l’azione rivoluzionaria richiederà. La situazione rivoluzionaria si crea giorno per giorno, con la frequenza sempre maggiore degli scioperi e dei tumulti; e dopo le giornate senza lavoro e le bufere della piazza con dei proletari, cadono le illusioni, muoiono le speranze nascono gli sconforti, le stanchezze, le differenze, le ire, le diatribe settarie, i personalismi. Tutto ciò non arresta il cammino dell’idea rivoluzionaria, ma crea degli stati d’animo che oggi sono negativi e domani possono pregiudicare un’azione vasta, generale, definitiva.
Anche ultimamente in occasione dello sciopero postelegrafonico e ferroviario, abbiamo visto la direzione del P.S. e L’Avanti! stare alla finestra, ad attendere, ad osservare, mostrando di non essere all’altezza della situazione, della possibilità cioè che gli scioperi vasti, compatti, vitali sboccassero in un’azione oltre passante gli scopi economici immediati. I dirigenti del Partito Socialista non hanno cercato di trarre a risultati rivoluzionari il movimento economico di organismi vitali dello Stato.
Simile atteggiamento tennero i capi socialisti durante i tumulti del caroviveri del luglio 1919 nel dicembre 1919 per i disordini provocati dagli incidenti che accompagnarono l’apertura della Camera.
Tale atteggiamento tende a ripetersi ogni qualvolta si sente anche alla lontana, odor di polvere. Nei periodi di calma i tribuni massimalisti arringano le folle con la loro violenza verbale e parlano della rivoluzione come un fatto imminente è necessario; nei periodi di bufera corrono ai ripari o si mantengono in quelle posizioni di attesa,, d’incertezza di riserva, che non sono certamente all’altezza delle necessità del momento.
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È necessario che i dirigenti del Partito Socialista guardino in faccia la realtà. Un movimento rivoluzionario troverà il governo disposto ad adoperare le armi, tutte le armi, per soffocarlo, ed il partito socialista forte sul terreno legale – istituzioni, elezioni, ecc. – non è ancora preparato alla lotta per le strade.
Mentre la propaganda svolta dagli estremisti, tipo Bombacci, in seno alle masse socialiste contribuisce a trasportare la lotta economica nel campo politico e rivoluzionario, l’azione pratica (preparazione sistematica delle forze dei mezzi insurrezionali) manca quasi totalmente. Questi minacciosi annunzi di una rivoluzione prossima e vittoriosa, seguiti da telefonate ministeriali, da discorsi docce-fredde, questa inquietudine popolare eccitata e calmata, stanca i laboratori, esaspera la gente pacifica, delude quei rivoluzionari che vivono nella quotidiana aspettazione di una palingenesi sociale, e lascia tempo e modo al Governo di scavare intorno ai suoi organi repressivi le sue trincee e di fornirle di fitti e vasti reticolati. L’esercito delle guardie regge e dei rr. Carabinieri organizzato su vasta scala e coordinamento di guerra, è un portato della politica del caro Nitti, il quale come un tempo Giolitti, dando un colpo al cerchio ed uno alla botte, continua a temporeggiare, strizzando l’occhio a Turati, trasformando il suo gabinetto ministeriale in cabina telefonica per il macchina indietro dei vari Dugoni; e caccia fuori le unghie, alla Clemenceau, quando lo creda necessario, opportuno. Si ricordi che Nitti tiene sul suo scrittoio il ritratto di quel liberale che fu Francesco Crispi!
Certe mollezze governative durante i moti del caroviveri spiegano come il 20-21 luglio lo Stato si sia mostrato col suo apparato repressivo in piena efficienza. Nelle prime fasi dei tumulti sono calcolate dal governo certe mancate repressioni e questo perché, dalla stanchezza del Popolo e dallo spavento e dal furore della borghesia nasca la possibilità di applicare una repressione sistematica in grande stile ’98. I generali tipo Graziani sarebbero degli ottimi Bava-Beccaris! E i pretoriani a 30 lire al giorno? E la guardia bianca organizzata sotto gli auspici dei Prefetti, come a Milano? E l’esercito dei Carabinieri e questurini? Spaventarci? No. Considerare le forze opposte prepararci ad una lotta senza tregua e senza quartiere? Sì. Questa è la necessità che impone la situazione, questo il dovere che ci detta.
Noi, che non chiediamo né popolarità, nei stipendi, nei voti, dobbiamo combattere tutti gli avvocati della politica. Le masse vanno educate rivoluzionariamente e per essere educate debbono ricevere la parola schietta della verità. Occorre organizzare la rivoluzione! Non si sviluppano le forze del proletariato illudendole di possedere forze immaginarie, non le si prepara ad un grande sforzo dando ad intendere che basta una spallata per far crollare l’edificio borghese. Dobbiamo portare il proletariato con noi, in piazza, conscio di quello che deve affrontare e sacrificare! Questo è, a parer mio, il dovere degli anarchici. Il loro dovere ed il dovere di tutti i rivoluzionari.
Camillo da Lodi
(da Umanità Nova, 9 Marzo 1920)